Il fenomeno del nazionalismo continuerà a erodere il processo d'integrazione europeo fino a quando la sua causa nascosta non sarà identificata e affrontata. Per fare ciò, i policymaker europei devono riconoscere un nuovo potente e pervasivo fattore di cambiamento politico e sociale: la divergenza fra diversi Paesi, settori economici, tipi di lavoro e comunità locali. Faremmo bene infatti a non sottostimare la popolarità della retorica nazionalista. Partiti nazionalisti – come la Lega in Italia, il Rassemblement National in Francia o Alternative für Deutschland in Germania – presentano se stessi come una risposta ai danni inflitti dalla globalizzazione in termini di impoverimento e disuguaglianza. La loro retorica, in base alla quale i confini dovrebbero essere sbarrati, è semplice e attraente. In realtà l'evidenza empirica non conferma, in Europa, l'esistenza di una relazione diretta tra confini aperti e impoverimento; non c'è nemmeno una relazione univoca tra diseguaglianza o stagnazione economica da una parte e l'impennata di consenso per i partiti nazionalisti e anti-europeisti dall'altra. Infine, la diseguaglianza sembra essere aumentata di più all'interno dei Paesi che tra i diversi Paesi. Di conseguenza, nessuna delle ragioni portate a sostegno della necessità di chiudere i confini appare inoppugnabile.
Dalla "stagnazione secolare" alla "divergenza secolare"
In questo studio si offre una spiegazione differente del malessere in aumento nelle società europee che ha portato all'incremento di popolarità del nazionalismo. Si punta l'attenzione sullo sviluppo di due dinamiche sociali persistenti: la prima è quella che porta gli individui a temere il proprio personale e irreversibile declino; la seconda dinamica è quella che spinge le parti più prospere della società a proteggere i propri vantaggi e benessere economici crescenti. Tali dinamiche portano a quella che chiamo "divergenza secolare", una tendenza che non coincide con le diseguaglianze più ovvie, e nemmeno esclusivamente con le diseguaglianze regionali. Si tratta piuttosto di un perdurante senso di marginalizzazione percepito da coloro che temono un declino inarrestabile delle loro professioni, comunità o famiglie, e un senso di distacco diffuso tra coloro che invece proteggono il proprio crescente benessere in un mondo instabile.