La maggior parte dei Paesi membri dell’Unione Africana – 44 Paesi su 55 – ha firmato la scorsa settimana a Kigali l'accordo per la creazione di un'area di libero scambio su base continentale, l'African Continental Free Trade Area (AfCFTA), di fatto il maggiore accordo commerciale dalla creazione dell'Organizzazione mondiale del Commercio negli anni 90. L'accordo entrerà in vigore dopo la ratifica da parte dei singoli Paesi firmatari. Si prevede che il processo sia abbastanza veloce, data la chiara volontà politica dominante.
L'accordo fu lanciato nel 2012 e le negoziazioni sono iniziate nel 2015. Esso riguarda tutti i paesi parte dell'Unione Africana, ossia una popolazione totale di oltre 1,2 miliardi di persone, con un pil aggregato di oltre 3.000 miliardi di dollari. L'età media del continente è di appena 27 anni e circa 400 milioni di persone formano la classe media, quindi un bacino economico molto interessante sebbene frammentato su scala nazionale.
L'accordo riguarda la rimozione delle tariffe sul 90% dei prodotti e includerà anche i servizi e le cosiddette barriere non tariffarie. In un secondo momento si discuterà anche di investimenti, politiche di competizione e proprietà intellettuale. In qualche modo tale intesa apre le porte alla liberalizzazione del movimento delle persone e anche in prospettiva alla creazione di una singola moneta e di una unione doganale.
Le conseguenze sociali e politiche dell'intesa
L'obiettivo è aumentare in primis lo scambio commerciale intra-africano, al quale finora si sono preferiti i vecchi legami che direzionano i flussi commerciali più con i paesi europei e ora con Stati Uniti, Cina e India che tra di loro. La Commissione Economica sull'Africa delle Nazioni Unite prevede entro il 2022 un aumento nel commercio intra-continentale del 52% rispetto a quello del 2010.