La produttività negli ultimi anni ha rallentato in tante economie del mondo. Per l'Italia, però, la frenata è cominciata molti anni fa. Nel nostro Paese, la produttività, intesa dall'Ocse come il Pil per ora lavorata, fra il 2010 e il 2016 è aumentata solo dello 0,14% annuo, il dato peggiore dopo quello della Grecia. Non solo: la stagnazione della produttività nei nostri confini è iniziata almeno 25 anni fa. Fabiano Schivardi, docente ed economista della LUISS, ne ha appena scritto in uno studio intitolato "The productivity puzzle and misallocation: an Italian perspective".
Marco Valerio Lo Prete, per LUISS Open, gli ha fatto alcune domande. Innanzitutto, perché e quando nasce questa triste eccezione italiana?
Fabiano Schivardi – Alla metà degli anni 90 si registra un primo calo della produttività italiana rispetto a Paesi europei come la Francia e la Germania. Se nei Paesi in via di sviluppo la crescita della produttività deriva principalmente dall'accumulazione di capitale, nei Paesi avanzati conta di più la "produttività totale dei fattori", o TFP nel gergo degli economisti, che misura il progresso tecnologico, l'organizzazione delle aziende, l'introduzione di nuovi prodotti, eccetera. Negli anni 50 questa misura della produttività cresceva a tassi elevati in Italia, addirittura al 5% annuo, poi il ritmo si è progressivamente ridotto arrivando a zero nel 2005. Una convergenza del tasso di crescita della produttività totale dei fattori con quello degli altri Paesi, cioè attorno all’1-1,5% anno, sarebbe stato fisiologico. L’Italia invece è arrivata praticamente a zero.